Di Qais Aljoan
Contesto. La Vuelta a España è uno dei tre grandi giri. Il 3 settembre 2025, la tappa di Bilbao è stata parzialmente neutralizzata dopo proteste pro-palestinesi contro la presenza di Israel–Premier Tech. L’UCI ha riaffermato la «neutralità politica». Questo saggio confronta tale posizione con i rapidi divieti imposti a Russia e Bielorussia nel 2022 — e ciò che rivela quando la neutralità diventa selettiva.
La sospensione parziale della tappa 11 della Vuelta a Bilbao ha messo in luce un dilemma che lo sport non può più evitare: si può proclamare la «neutralità politica» quando si applicano boicottaggi selettivi ad alcuni Paesi ignorando al contempo le violazioni sistematiche di altri?
Nel 2022, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la reazione del mondo sportivo fu immediata. Federazioni, leghe e organizzatori esclusero squadre e atleti di Russia e Bielorussia. Nel ciclismo, l’UCI vietò la partecipazione delle loro squadre. La ragione era chiara: lo sport non può essere indifferente all’aggressione militare né fungere da vetrina propagandistica per uno Stato che viola il diritto internazionale.
Il contrasto con Bilbao è netto. Israel–Premier Tech, indicata da molti manifestanti come simbolo di «sportwashing» di uno Stato accusato di crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania, ha corso normalmente nonostante i ripetuti avvertimenti. Non era la prima protesta: blocchi, striscioni e tensioni già dalle prime tappe. La tensione è salita fino a neutralizzare un arrivo e ferire corridori e agenti.
La risposta dell’UCI, però, è stata diversa da quella applicata a Russia e Bielorussia: riaffermare la «neutralità politica» e condannare la protesta. In altre parole, sanzionare chi denuncia, non chi genera la questione etica.
Ecco la contraddizione. Se lo sport ha giustificato il boicottaggio della Russia come atto di coerenza morale e solidarietà con l’Ucraina, perché la stessa misura non dovrebbe valere di fronte alla devastazione a Gaza? Il diritto internazionale si applica secondo la geografia o secondo il peso delle alleanze?
L’argomento della neutralità perde forza quando diventa selettivo. È un calcolo politico-economico: la Russia era isolata; Israele gode del sostegno degli Stati Uniti e di gran parte dell’UE. L’UCI non opera nel vuoto: risponde a sponsor, interessi finanziari e pressioni diplomatiche.
Il risultato è corrosivo. Quando la neutralità diventa complicità, lo sport cessa di essere uno spazio universale e diventa una vetrina condizionata dal potere delle lobby. A pagare sono i corridori, trasformati in carne da cannone di un’incoerenza istituzionale.
La domanda, dunque, non è se un boicottaggio di Israele sia «dovuto»: eticamente sì — gli stessi criteri usati per la Russia si applicano all’occupazione e agli attacchi in Palestina. La vera domanda è se le istituzioni sportive siano disposte a sopportarne il costo politico ed economico. Per ora, tutto suggerisce di no.
Bilbao ci lascia una lezione scomoda: la neutralità nello sport non esiste più e, quando viene proclamata, spesso è selettiva. Se si sanzionano alcuni e se ne assolvono altri, a rompersi non è solo la coerenza ma la credibilità morale dell’intero sistema sportivo internazionale.
Qais Aljoan
Vuoi seguire il dibattito oltre queste pagine? Seguimi su @Qais_Aljoan.